Germanwings: il ruolo della psicologia nella sicurezza in aviazione

Germanwings: il ruolo della psicologia nella sicurezza in aviazione

È la mattina del 24 marzo 2015. Il volo Germanwings 9525, un Airbus A320-211, decolla da Barcellona diretto a Düsseldorf con 150 persone a bordo: 144 passeggeri e 6 membri d’equipaggio. Il meteo è buono, la rotta è di routine, e nulla lascia presagire ciò che accadrà nei successivi minuti. Dopo il decollo, il comandante e il copilota Andreas Lubitz salgono regolarmente alla quota di crociera, circa 38.000 piedi. Pochi minuti dopo, il comandante lascia momentaneamente il cockpit per recarsi in bagno, come previsto dalle normali procedure operative. È in quell’istante che avviene qualcosa di impensabile.

Lubitz chiude la porta blindata della cabina di pilotaggio dall’interno, azionando il blocco che impedisce qualsiasi riapertura dall’esterno. Poi imposta sul Flight Management System una discesa automatica continua, a una velocità di circa 3.000 piedi al minuto. Da quel momento in poi, il suo silenzio sarà assoluto.

La torre di controllo tenta più volte di mettersi in contatto con il volo 9525. Il comandante, bloccato fuori dalla cabina, bussa, chiama, implora. Dall’interno, nessuna risposta. Il radar mostra la discesa costante dell’aereo verso le Alpi francesi, fino all’impatto con una montagna nella zona di Prads-Haute-Bléone, a oltre 700 km/h.
Non sopravvive nessuno.

Un gesto deliberato, ma non improvviso o dettato dall'impulso

Le indagini condotte dal Bureau d’Enquêtes et d’Analyse (BEA) e analizzate da Pasha e Stokes nel loro studio, hanno ricostruito con precisione l’evoluzione psicologica del copilota. Lubitz aveva avuto una storia di depressione e sintomi psicotici già dal 2014, per la quale era stato più volte visitato e temporaneamente sospeso dal volo. Tuttavia, negli ultimi mesi prima dell’incidente, aveva nascosto i sintomi, ottenendo nuovamente l’idoneità medica e riprendendo a volare. Nelle settimane precedenti all’evento, i medici che lo seguivano avevano riscontrato disturbi del sonno, pensieri intrusivi e peggioramento dell’umore, ma Lubitz aveva smesso di assumere la terapia prescritta e non aveva informato la compagnia. Alcuni certificati di malattia — che avrebbero dovuto impedirgli di volare — furono ritrovati strappati nella sua abitazione.

Il BEA, nel suo rapporto finale del 2016, parla di una “psicosi depressiva acuta”, iniziata l’anno precedente e mai completamente risolta. Non un gesto impulsivo, ma la progressione di una malattia silenziosa, celata dietro il rigore e la professionalità apparente.

Un sistema costruito sulla fiducia

Il caso Germanwings fu un trauma collettivo non solo per l’opinione pubblica, ma per l’intera comunità aeronautica. Per la prima volta, il mondo si confrontava con l’idea che un pilota — una figura tradizionalmente associata al controllo e all’affidabilità — potesse diventare la causa di una tragedia. Eppure, la lezione che l’aviazione trasse da quell’evento non fu quella della paura, ma della responsabilità condivisa. Gli investigatori non puntarono il dito contro il singolo individuo, ma sul sistema di monitoraggio medico e psicologico, che fino ad allora si basava in larga parte sulla dichiarazione volontaria dei piloti. Lubitz aveva superato tutti i controlli previsti: tecnicamente, il sistema aveva funzionato. Ma purtroppo il suo stato psicologico, in silenzio, stava crollando.

l cambiamento dopo l’incidente

Quando l’indagine sul disastro Germanwings si concluse, la domanda più urgente non fu “chi è il colpevole?”, ma “come possiamo impedire che accada di nuovo?”. Il mondo dell’aviazione, abituato a reagire in modo razionale anche di fronte alla tragedia, scelse la via della trasformazione. Ogni dettaglio del sistema — medico, psicologico, organizzativo — fu messo sotto la lente, con un solo obiettivo: imparare dall’errore senza colpevolizzare l'essere umano. Fu un momento di profonda riflessione collettiva e questo fa parte della cosiddetta just culture che caratterizza il mondo dell'aviazione. Piloti, psicologi dell'aviazione, medici aeronautici, autorità di regolazione e compagnie aeree si sedettero allo stesso tavolo. Ne nacque un dialogo nuovo, in cui la dimensione psicologica del pilota non era più vista come un fattore di rischio, ma come una componente preziosa da proteggere e sostenere. Era chiaro a tutti che la sicurezza non poteva basarsi solo sulla tecnologia o sulle checklist: doveva includere la dimensione umana nella sua interezza. Dopo il 2015, la normativa europea (EASA) e le compagnie aeree di tutto il mondo introdussero una serie di riforme senza precedenti:

  • La regola del “two persons in cockpit”, che prevedeva la presenza costante di almeno due persone in cabina (pilota + assistente di volo), garantendo una supervisione reciproca e un ulteriore livello di sicurezza.
  • La nascita dei “Pilot Peer Support Programs”, sportelli confidenziali dove i piloti possono chiedere aiuto psicologico in modo anonimo e tutelato, parlando con colleghi formati che comprendono davvero le pressioni del mestiere.
  • L’obbligo di valutazioni psicologiche iniziali e periodiche, condotte da psicologi dell’aviazione addestrati a individuare precocemente segnali di disagio, stanchezza cronica o stress cumulativo.
  • Una nuova cultura della sicurezza, che ha trasformato la vulnerabilità in parte del processo di protezione. Oggi, chiedere supporto non è più segno di debolezza, ma un gesto di maturità e professionalità.

Queste misure, nate da una tragedia, hanno reso il sistema aeronautico più umano, più trasparente e più resiliente. Non si tratta soltanto di regole: è cambiata la mentalità. L’aviazione ha imparato che la sicurezza non si costruisce eliminando l’errore, ma creando un ambiente dove l’uomo può parlarne prima che diventi pericoloso. Oggi ogni pilota sa di non essere solo. Dietro ogni decollo c’è una rete di sostegno — medica, psicologica e organizzativa — che veglia sulla sua lucidità e sul suo equilibrio emotivo. Il caso Germanwings non è stato soltanto una ferita, ma anche un punto di svolta culturale: ha insegnato all’aviazione che la mente va considerata parte dell’aeromobile, un sistema da monitorare, mantenere e proteggere con la stessa attenzione che si dedica a un motore o a un’ala. In questo senso, il cambiamento più grande non è scritto nei regolamenti, ma nei volti e nelle parole di chi vola oggi. Piloti che sanno chiedere aiuto, compagnie che ascoltano, e psicologi che lavorano al fianco degli equipaggi per mantenere viva la cosa più importante di tutte: la fiducia reciproca. Una fiducia che, volo dopo volo, è diventata la nuova forma di sicurezza.

L'importanza della dimensione psicologica in aviazione

Il caso Germanwings  ha ricordato al mondo una verità complessa: anche dietro la tecnologia più perfetta resta l’essere umano, con le sue fragilità. Ma in aviazione, la fragilità non è un tabù: è qualcosa che viene ascoltato, monitorato e sostenuto. Gli studi successivi, come quello di Pasha e Stokes, mostrano che la depressione tra i piloti  è comparabile o inferiore a quella della popolazione generale (circa 5–7%). E che, proprio grazie a un sistema sanitario rigoroso  e cooperativo, gli episodi estremi come Germanwings sono eventi eccezionali, praticamente irripetibili.

Un nuovo equilibrio tra mente e sicurezza

Oggi ogni pilota è seguito da una rete di professionisti: medici aeronautici, psicologi dell’aviazione, colleghi formati per il supporto tra pari. La sicurezza non si misura più solo in checklist e procedure, ma anche in consapevolezza emotiva, comunicazione e fiducia. Il silenzio della cabina del volo 9525 ha aperto una nuova era: quella in cui la mente del pilota è riconosciuta come parte integrante dell’aeromobile. E forse è proprio da quel silenzio che l’aviazione ha appreso ad affrontare meglio temi come il benessere psicologico, l'empatia e la prevenzione.

In sintesi
  • La depressione tra i piloti ha una prevalenza simile alla popolazione generale (1,9–12,6%);
  • Gli episodi di suicidio in volo sono estremamente rari (meno di 1 su 3.000 incidenti);
  • I principali fattori di stress derivano da fatica, ritmi circadiani alterati e carichi di lavoro elevati, non dal volo in sé.

Dopo il 2015, le autorità aeronautiche (EASA, FAA) e le compagnie di tutto il mondo introdussero riforme decisive:

  • la regola del “two persons in cockpit”, che impone la presenza di almeno due persone in cabina;
  • i Pilot Peer Support Programs, spazi confidenziali dove i piloti possono chiedere aiuto psicologico senza paura di ripercussioni;
  • l’introduzione di screening psicologici iniziali e periodici, gestiti da psicologi dell’aviazione formati per riconoscere precocemente segnali di disagio;
  • e soprattutto l’integrazione del principio di Just Culture, un approccio che privilegia la comprensione e la prevenzione rispetto alla punizione, favorendo la fiducia reciproca tra piloti, medici e organizzazioni.
  • Grazie a questi cambiamenti, oggi i piloti operano in un contesto che incoraggia la trasparenza e la segnalazione precoce di difficoltà personali, eliminando il timore di essere stigmatizzati o sospesi.
    La Just Culture ha reso possibile un nuovo equilibrio: quello in cui
    la vulnerabilità è riconosciuta come parte dell’essere umano, non come una minaccia alla sicurezza.
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Dott.Igor Graziato

Past Vice President Ordine Psicologi Piemonte

Psicologo del lavoro e delle organizzazioni

Specialista in Psicoterapia

Virtual Reality Therapist

REB HP Register for Evidence-Based Hypnotherapy & Psychotherapy
AAvPA Member Australian Aviation Psychology Association

APA Member American Psychological Association

ABCT Member Association for Behavioral and Cognitive Therapies

Division 30 Society of Psychological Hypnosis (APA)

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