La fatigue nelle operazioni di medio raggio: limiti dei modelli FRMS

Quando si parla di fatigue nei piloti, l’attenzione tende a concentrarsi su un singolo fattore: il sonno. La realtà operativa è molto più complessa. La fatigue, soprattutto in aviazione, è spesso il risultato di più fonti che si sommano e interagiscono tra loro, creando quello che la letteratura scientifica definisce compound fatigue. Uno studio recente di Devine, Hursh e Behrend (2025), pubblicato sulla rivista Aerospace Medicine and Human Performance, affronta un tema ancora poco indigato: la fatigue nei piloti che operano rotte di medio raggio (medium-haul, M-H). Questi piloti sono tradizionalmente considerati meno esposti rispetto ai colleghi impiegati sui voli a lungo raggio; tuttavia, è probabile che siano soggetti a forme subdole e cumulative di affaticamento, con implicazioni significative per la sicurezza del volo.
Perché il medio raggio è un contesto critico?
Nel dibattito sulla fatigue in aviazione, il medio raggio tende a essere considerato un contesto operativo “intermedio”, e quindi implicitamente meno problematico rispetto al lungo raggio. Questa lettura, tuttavia, rischia di essere fuorviante. Le operazioni medium-haul si collocano in una zona grigia dell’operatività di linea in quanto:
- non presentano un jet lag marcato come il lungo raggio;
- consenteno, almeno sulla carta, una durata di sonno adeguata;
- comportano però dei carichi operativi elevati, elevata frequenza di voli, turnazioni irregolari e forte pressione organizzativa.
Dal punto di vista psicologico ed organizzativo, questo contesto è particolarmente insidioso perché la "fatica" non è immediatamente visibile, né facilmente riconosciuta dal pilota stesso. Nella pratica operativa, il medio raggio è caratterizzato da elevata densità di voli, turnazioni irregolari, rapidi cicli duty–rest, carichi cognitivi ripetuti e una pressione organizzativa costante. Dal punto di vista dei fattori umani, si tratta di un contesto in cui la fatigue emerge non come evento acuto, ma come un processo cumulativo, spesso normalizzato e scarsamente riconosciuto sia a livello individuale sia organizzativo.
Metodologia dello studio
Lo studio ha coinvolto 223 piloti di linea (90 comandanti e 133 primi ufficiali) impegnati su rotte di medio raggio. Attraverso un questionario anonimo, ai piloti è stato chiesto di valutare, su una scala da 0 a 10, il livello di fatica associato a 40 diversi fattori, suddivisi in quattro domini:
- Circadiano (orari, ritmo sonno-veglia, finestre biologiche critiche)
- Ambientale (rumore, condizioni di cabina, luce, comfort)
- Operativo (durata del lavoro, pause, carico di voli)
- Psicosociale (stress, pressioni, fattori relazionali e organizzativi)
È stata inoltre rilevata la durata abituale del sonno. I risultati sono particolarmente interessanti perché mettono in discussione alcune convinzioni consolidate. In particolare:
- Il fattore circadiano è il più impattante: i piloti hanno valutato i fattori circadiani come i più faticanti (media 6/10), più di quelli operativi o ambientali. Dal punto di vista della psicologia dell’aviazione, questo dato è cruciale: anche senza jet lag e con un sonno apparentemente adeguato, l’alterazione delle finestre circadiane (early start, late finish) genera una fatigue significativa.
- La dimensione psicosociale conta quasi quanto il fattore biologico. Infatti i domini psicosociale e ambientale hanno ottenuto punteggi medi elevati (5/10), molto vicini a quelli circadiani. Questo significa che lo stress operativo, le pressioni organizzative, il clima relazionale e le condizioni fisiche di lavoro non sono un “aspetto periferico”, ma fattori centrali nella percezione e nell’esperienza della fatica.
- Il carico operativo pesa, ma non è il primo fattore. I fattori operativi (media 4/10) risultano meno faticanti rispetto agli altri domini, ma aumentano sensibilmente quando legati a un maggiore volume di lavoro, pause ridotte e orari più lunghi rispetto al corto raggio.
Questo suggerisce che non è solo la durata, ma la combinazione di carico, continuità e recupero insufficiente a fare la differenza. Dormire “abbastanza” non basta. Un dato particolarmente controintuitivo: i piloti riportano una media di 7 ore di sonno, e la durata del sonno non è significativamente correlata ai livelli di fatica percepiti. Dal punto di vista clinico-psicologico, questo rafforza un concetto chiave: la fatica non è riducibile al numero di ore dormite. La qualità del sonno, l'allineamento circadiano, lo stress cognitivo ed emotivo giocano un ruolo decisivo. Questo studio mette in luce un rischio spesso sottovalutato nei sistemi di gestione della fatica (FRMS- Fatigue Risk Management System): la compound fatigue. In particolare nei piloti di medio raggio:
- i turni possono sembrare “ragionevoli”;
- il sonno può essere quantitativamente adeguato;
- ma l’interazione tra ritmo biologico, stress e carico cognitivo crea una fatigue cronica, meno evidente ma persistente.
Dal punto di vista organizzativo, questa condizione può influenzare:
- attenzione sostenuta;
- capacità decisionale;
- flessibilità cognitiva;
- gestione degli imprevisti;
- comunicazione in cockpit.
Non si tratta di un rischio acuto, ma di un’erosione progressiva della performance, particolarmente pericolosa perché difficilmente riconosciuta come tale.
Quali sono le implicazioni pratiche per le compagnie e per i piloti?
Negli ultimi anni, l’attenzione alla fatigue operativa si è concentrata soprattutto sulle operazioni di lungo raggio, spesso considerando il medio raggio come intrinsecamente meno critico. Tuttavia, l’evidenza operativa e psicofisiologica racconta una realtà diversa. Ritmi intensi, rotazioni rapide, carico cognitivo elevato e fattori circadiani sfavorevoli rendono il medio raggio un contesto complesso dal punto di vista della gestione della fatica. Da questa prospettiva, è fondamentale interrogarsi sulle implicazioni pratiche per le compagnie aeree e per i piloti. Dal punto di vista della psicologia dell'aviazione emergono le seguenti indicazioni:
- Il medio raggio non è “a basso rischio fatica”, deve essere trattato con la stessa attenzione del lungo raggio nei programmi FRMS.
- Serve un approccio multidimensionale. Non basta monitorare ore di volo e riposo. Occorre considerare: i fattori circadiani; lo stress psicosociale e il carico cognitivo.
- La consapevolezza del pilota è centrale. Formare i piloti a riconoscere la fatica composta è un intervento di sicurezza, non di benessere accessorio.
In sintesi, il medio raggio richiede un cambio di paradigma: non può più essere trattato come un’operazione “a basso rischio di fatigue”. Per le compagnie, questo significa adottare programmi FRMS realmente integrati e basati su una visione multidimensionale della performance umana. Per i piloti, significa sviluppare una maggiore consapevolezza della compound fatigue, imparando a riconoscerla e gestirla prima che diventi un fattore di rischio operativo. Investire in formazione e nel supporto psicologico non è un optional legato al benessere, ma una scelta concreta per la sicurezza del volo.
Sintesi
- Lo studio di Devine e colleghi mostra chiaramente che la fatigue nei piloti di medio raggio è reale, complessa e sistemica.
- Ridurre la questione ad una problematica legata al sonno significa perdere di vista il problema.
- È importante riconoscere che la compound fatigue non è facilmemte visibile.
Bibliografia
Devine JK, Hursh SR, Behrend J. Compound fatigue risk in medium-haul pilots. Aerospace Medicine and Human Performance, 2025; 96(12):1063-1068.
Dott.Igor Graziato
Past Vice President
Ordine Psicologi Piemonte
Psicologo del lavoro e delle organizzazioni
Specialista in Psicoterapia
Virtual Reality Therapist
REB HP Register for Evidence-Based Hypnotherapy & Psychotherapy
AAvPA Member Australian Aviation Psychology Association
APA Member American Psychological Association
ABCT Member Association for Behavioral and Cognitive Therapies
Division 30 Society of Psychological Hypnosis (APA)
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